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Marco Bianchini: la mano che ha disegnato Tex

Recentemente è stato nostro ospite per una serata a tema Marco Bianchini, storico disegnatore di Tex, Dylan Dog e altri fumetti, ma anche testimonial del Consorzio. Gli abbiamo posto alcune domande a cui ha risposto raccontando se stesso, la sua storia e la sua carriera.

Caro Marco Bianchini, il tuo nome è nella storia dei fumetti. Raccontaci un po’ di te e della tua carriera

La mia inizia ad essere una carriera un po’ lunga. Ho cominciato a disegnare fumetti alla fine degli anni ’70, quando i disegnatori facevano la gavetta sui fumetti erotici. Ho cominciato lì e dopo qualche anno ho avuto la fortuna di cominciare a collaborare con la Bonelli e sono entrato nello staff disegnando Kerry il Trapper, che era il personaggio di una collana che si chiamava il Comandante Mark. Da lì sono passato a disegnare Mister No e l’ho fatto per 20 anni, poi fino al 2005, ultimo anno di collaborazione con la Bonelli, ho disegnato Tex e Dylan Dog. Nel 2005 ho deciso di chiudere la mia carriera come disegnatore lavorando nel mondo del fumetto francese, che è tutto un altro mondo. In Italia i fumetti escono in edicola, in Francia escono in libreria e sono dei veri e propri libri che vengono chiamati “cartonati”. Da 7-8 anni, dunque, collaboro con un paio di case editrici.

Poi c’è un personaggio mio, Termite Bianca, che è uscito con le edizioni Pavesio una decina di anni fa e che, a tempo perso, continuo a curare. Un hobby più che un lavoro. Sto lavorando, insieme a Patrizio Evangelisti, al secondo ciclo e sarà un volume spettacolare, colorato a mano, di 100 pagine e che porterà avanti la storia presentando altri personaggi. Sarà una graphic novel.

Disegnare è stata una passione fin da piccolo o l’hai maturata successivamente?

La mia è stata una scoperta; ho avuto una specie di folgorazione. Intorno ai 13 anni leggendo i fumetti ho pensato che c’era qualcuno che li pensasse e che li disegnasse. Da lì, per me, è diventata una missione: imparare a disegnare per fare il disegnatore di fumetti. Non riuscivo a pensare e a fare nessun’altra cosa se non disegnare. Finito il liceo ho voluto iniziare a conoscere alcuni disegnatori per poi riuscire a trasformare questa passione in un lavoro.

In realtà non avevo grandi doti di disegno ma ho studiato molto, mi sono impegnato a disegnare. E’ stato un percorso difficile e faticoso perché fino a quando fai le cose da solo è un conto, ma poi quando conosci dei professionisti che ti dicono che tutto è sbagliato devi ricominciare da capo.

Il tuo percorso scolastico è stato impostato su una formazione artistica oppure hai deciso in corsa di diventare un disegnatore di fumetti?

Per niente, ho fatto il liceo scientifico. Una volta terminato mi sono iscritto a Fisica all’Università di Bologna perché i miei non volevano che facessi il disegnatore di fumetti. Al tempo non era nemmeno considerata una professione. Mio padre mi impose di fare l’Università ma nel frattempo frequentavo anche una scuola di grafica. All’Università penso di aver dato due esami con risultati un po’ bassi, mentre la scuola di grafica l’ho terminata con il massimo dei voti e la lode.

Il tuo lavoro ti ha portato anche ad essere il disegnatore di Tex, la leggenda. Questo ti rende orgoglioso, immagino. Raccontaci un po’ le tue sensazioni sul personaggio.

È come quando ti confronti con un mito. All’inizio hai paura di fare una brutta figura ed il lavoro ti piace sempre poco poi piano piano ti rilassi anche se resta faticoso perché devi documentarti e non puoi sbagliare. Il fumetto è ambientato nella seconda metà dell’800 e quindi devi stare estremamente attento ai dettagli. Quando però il fumetto esce, hai un grande riscontro dai lettori e ti fanno i complimenti perché i disegni piacciono c’è soddisfazione.

Come nasce un fumetto?

Il fumetto è una forma artistica molto particolare perché ne unisce due: scrittura e disegno. Entrambe devono essere equivalenti perché se una delle due supera l’altra diventa altro, non è più un fumetto. Deve essere una combinazione fantastica tra chi scrive e chi disegna. Il fumetto nasce prima nella mente dello scrittore poi prende vita dalle mani di un disegnatore, quindi la storia dovrà essere affidata ad un disegnatore con uno stile adatto. Quando questo succede c’è la combinazione perfetta ed il fumetto, quando nasce così, ottiene risultati meravigliosi. Non c’è nessun altro mezzo comunicativo che ha la forza del fumetto, perché la grandezza del fumetto sta nel fatto che contemporaneamente leggi, guardi e immagini. Quando passi da una vignetta all’altra c’è quello spazio vuoto nel mezzo che va riempito con la testa. Il cervello, quando leggi un fumetto, è attivo e anche creativo.

La Sergio Bonelli Editore, dove hai lavorato, è un’istituzione del settore. Puoi raccontarci la tua esperienza professionale?

La Sergio Bonelli Editore è stata la mia famiglia dal 1985 al 2005. Ho conosciuto Bonelli, i primi anni veniva addirittura a mangiare a casa mia. A loro devo molto, soprattutto per quanto riguarda la mia crescita professionale. Una cosa però posso dirla, e cioè che mi sarebbe piaciuto disegnare di più altri personaggi però non posso lamentarmi. Per loro ho disegnato Tex e Dylan Dog quindi credo possa andare benissimo così.

Sei stato anche il direttore Artistico della Scuola Internazionale di Comics di Firenze. Cosa rappresenta per te la Scuola e come la descriveresti?

La mia collaborazione con la scuola comincia nel 1992. Si tratta di un’esperienza fantastica perché ho scoperto che mi piace molto stare con i giovani e che insegnando ho capito come disegnavo tante cose. Il rapporto con gli studenti è sempre reciproco: io lavoro con i ragazzi non cerco di insegnare e basta. Il vantaggio di queste scuole è che il rapporto con gli studenti è diretto, emotivo. Non si riesce a distaccarsi dalle loro ambizioni e ti dà grande gusto insegnar loro le cose perché poi si vedono i risultati.

Quotidianamente ti rapporti con ragazzi giovani da tutto il mondo; cosa diresti a chi sta muovendo i primi passi in questo ambito?

Ho sempre sostenuto che le ambizioni e i desideri devono essere perseguiti. E’ importante provarci, non lasciare perdere. Chi ha la determinazione giusta, chi insegue un sogno o un viaggio dove si crede di stare bene si ha il dovere morale di provarci. Non è detto che si arrivi dove si spera, ma anche ottenere risultati leggermente inferiori è una grande soddisfazione, anche personale. È una prova di avere spirito e animo.

E ricordiamoci che fuori ci sono molte persone pronte ad aiutarci e insegnarti anche questo mestiere.

A chi vuole intraprendere questa carriera dico solo di provarci perché poi le soddisfazioni sono enormi, anche economiche perché si lavora con tutto il mondo, non solo con l’Italia. Ed i talenti italiani sono molto ricercati e ambiti, soprattutto nel mondo del fumetto americano.

Il fumetto in che direzione sta andando?

Il fumetto è in una fase molto interessante perché si sta uscendo dal fumetto tradizionale per entrare in quello d’autore, dove si raccontano storie diverse. Più intimistiche e legate alla letteratura e meno avventuristico. Anche stilisticamente si va verso uno stile nuovo dove c’è più libertà. Poi in questo settore si sono avventurate anche le donne negli ultimi anni ed il loro apporto rende tutto ancora più interessante.

Cosa ti ha spinto ad accettare la collaborazione con il Consorzio?

La curiosità perché la proposta era molto interessante. La cosa che più mi ha spinto è stata che le borse sono ancora fatte alla vecchia maniera, sono estremamente curate. Tutto questo lo trovo molto vicino a quello che è il lavoro del disegnatore. Ho trovato, quindi una certa comunione dei sensi.

 

 Un ringraziamento sincero a Marco Bianchini per la sua cordialità e disponibilità

 

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