La città dentro la città: la zona di Firenze alla sinistra del fiume comunemente detta Diladdarno – nome che resta difficile ai fiorentini sostituire con il più comune e attuale Oltrarno – è senza dubbio la fucina in cui nel corso del tempo si sono sviluppate le principali attività manifatturiere e dove l’operosità degli artigiani nelle botteghe non ha mai smesso di convivere con un certo tipo di fiorentinità. Quella vera, dei vicoli, di reticoli di vie che intersecano viuzze, canti e “borghi” e in cui convivono nelle piazze, mercati e “fierucole”. Ricchi palazzi storici di famiglie nobili, tabernacoli di antica devozione e case popolari.
Le botteghe di doratura, intarsio e cornici con la loro tradizione secolare delle lavorazioni sono le storiche testimonianze di un microcosmo di sapienza tramandata di padre in figlio che ancora oggi vive come una rarità nel contesto storico mondiale e globalizzato.
La ancora attuale convivenza tra le architetture rinascimentali delle famiglie patrizie e le botteghe con i massicci “sporti” sono di fatto testimoniate dalla “Cronaca” di Benedetto Dei, storico fiorentino che nel 1472 segnala la presenza in città di ben 84 botteghe di legnaioli, di tarsie e intagliatori.
E successivamente, intorno alla metà del Cinquecento quando i Medici trasferirono la loro dimora in Palazzo Pitti, nelle strade intorno si stabilirono tutte le più importante famiglie della corte medicea e furono costruiti per l’occasione gli splendidi palazzi rinascimentali di via dei Serragli, via Santo Spirito, via San Niccolò e della via Maggio (da via Maggiore).
Le loro dimore dovevano essere ornate secondo il gusto dell’epoca e le fogge locali e questo importante impulso rafforzò e sviluppò il mercato e le attività manifatturiere di incisori, mosaicisti, intagliatori, fabbri ma anche orafi e argentieri e tessitori di stoffe pregiate che producevano i drappi serici. Accanto a questi c’erano anche i pannilani, i cuoi impressi e i velluti operati.
Con il Censimento delle proprietà fondiarie e immobiliari della famiglia Medici del 1427, si registra che le attività artigianali occupavano più di 1500 fondi. Oggi sappiamo che non è più possibile recuperare tutte quelle specificità, anche perché molte lavorazioni sono state soppiantate dall’industria con manodopera specializzata. Oggi sono rimaste poche quelle lavorazioni che, nonostante le intemperie di una politica basata sulla quantità più che sulla qualità, continuano tenacemente a credere nel lavoro manuale e nella tradizione fiorentina.
Nell’ultimo ventennio, molti sono stati i giovani che si sono avvicinati con entusiasmo alle attività manuali. Fare l’artigiano è una missione, un modo di vivere lontano dal ritmo e dal contesto a volte troppo forzatamente tecnologico e sociale a cui tutti noi ci stiamo abituando. L’artigiano ha bisogno di tempo. Un tempo utile per imparare, provare, creare e anche riprodurre. Quel tempo che nessuno di noi è più abituato a vivere, ma che è indispensabile perché solo così si ascoltano il ritmo e i rumori di quegli antichi strumenti e si trasmettono alle generazioni che verranno.
Maria pilar Lebole, Responsabile progetto Osservatorio dei Mestieri d’Arte presso l’Ente CRF