Nell’antichità si credeva che il cuore fosse il centro della vita, fonte della saggezza umana, sede dell’amore, della compassione e del perdono. Il cuore era simbolo di intuizione, di guida e di intelligenza superiore. Incisa all’entrata del tempio di Delphi, nell’antica Grecia, c’era questa frase “ Oh, uomo conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei “, parole che indicano la via del muoversi verso l’interno di sé, per risvegliare l’intelligenza del cuore e accedere alla consapevolezza, che mettendo a tacere il brusio del mondo, aiuta a comprendere chi siamo, ascoltando il saggio sussurro dell’intuizione del cuore, un’oasi dove immergersi quando abbiamo bisogno di riposo, di consiglio e di ispirazione.
Di frasi antiche così profonde che invitano alla riflessione e al cambiamento se ne potrebbero citare all’infinito, e mi sono chiesta soprattutto in quest’ultimo periodo, che definirei di ingresso a una nuova era dell’umanità, quanto oggi siamo consapevoli di noi stessi e quanto siamo equipaggiati per fare scelte al di là di ciò che vediamo o se invece siamo intrappolati in idee e credenze limitanti. Se camminando tra le corsie di un supermercato in una città qualsiasi, solo per un momento ci soffermassimo a osservare con occhi diversi ciò che ci viene proposto, potremmo comprendere qualcosa sul nostro mondo e forse sentire il desiderio di cambiare. Che meraviglie troviamo in quel luogo, dal mango all’avocado, dalle pesche alle fragole.
Ogni prodotto è disponibile tra le nostre mani in tutte le stagioni dell’anno. Siamo avvolti da colori sfavillanti, mentre veniamo accompagnati negli acquisti da una musica di sottofondo, le cui sonorità si trasformano da dolci melodie a sonori ritmi dance. In quelle corsie ci perdiamo, scegliendo tra mille buste, scatole e confezioni, in un apparente tranquillo ordine. Può accadere però che improvvisamente comprendiamo che ciò che desideriamo non sia presente nelle varie corsie. Ci accorgiamo infatti che vogliamo altro, magari una gemma preziosa, che certo “al supermercato delle programmate corsie” non è presente. Dunque da quel luogo dobbiamo necessariamente uscire per trovarla, percorrendo altre strade, cambiando abitudini, modo di pensare, acquisendo consapevolezza di chi siamo, magari ricordando l’equilibrio, la sobrietà e la semplice saggezza delle botteghe di una volta.
Il supermercato è una metafora, uno dei tanti possibili specchi della nostra società, dove tutto è già confezionato e proposto, mentre per vedere altro è necessario ascoltare l’intelligenza del cuore e non farsi incantare dall’illusione della fragola. Ma cosa c’entra tutto ciò con la pelle conciata al vegetale? Ci arriviamo.
Quando ero una bambina nel paese del Veneto, dove ancora vivo, la mamma mi metteva tra le mani qualche soldino e mi dava l’incarico di fare le spese con mia sorella nella piccola bottega di un fruttivendolo. Per noi erano importanti momenti di crescita e di responsabilità. Ricordo molto bene cassette di legno ovunque che contenevano solo e rigorosamente la frutta e la verdura di stagione. Fu proprio tra quelle cassette che iniziai a riconoscere i profumi e a comprendere che le pesche sono estive, le mele autunnali, le arance invernali e che le fragole sono primaverili. Da bambina avevo le idee chiare, mentre ora entrando al supermercato, che ha sostituito quasi ovunque la piccola bottega, trovo le fragole tutto l’anno.
Mi chiedo allora non ho imparato bene, ma la fragola non è solo primaverile e la natura non dona all’uomo da secoli i suoi frutti seguendo il ritmo delle stagioni? Cosa è accaduto dunque in questi anni? Forse siamo stati incantati da ciò che si può definire l’illusione della fragola, che può essere applicata a ogni aspetto della vita.
Il non seguire più la natura, rispettandone la ciclicità, ci spinge a credere che le fragole siano sempre naturali e che forse anche noi possiamo essere eternamente fragole, mentre se invece cominciassimo anche solo a riappropriarci dei cibi stagionali, accetteremmo con grazia, facilità e leggerezza che la nostra pelle possa diventare un po’ zucca e un po’ zenzero. Proprio come la pelle conciata al vegetale che si trasforma nel corso del tempo e che rappresenta la perfetta sintonia con il paesaggio cangiante delle nostre terre, con il colore delle foglie e dei fiori nell’eterno perpetuarsi delle stagioni. In questo contesto di comprensione della stagionalità forse è più facile capire che quello che ci viene proposto non necessariamente rispecchia ciò che veramente è naturale. Una fragola a gennaio è un vero prodotto della terra? No, è un’illusione. Certo posso comprarla, ma devo essere consapevole che non ha nulla a che fare con il ritmo originale della natura e della sua difesa. Proteggere la natura significa esserne parte e accettarne le trasformazioni.
Ma oggi cosa significa amare ed essere amico della natura? Mai come in quest’ultimo periodo i movimenti ambientalisti hanno messo in luce quella mancanza di amore nei confronti della terra che da anni viene inquinata dal genere umano. Di questo purtroppo ne siamo tutti consapevoli e sappiamo bene quanto sia necessario fare delle scelte di cambiamento dei comportamenti. Ma per essere trasmutatore, il valore necessario è la conoscenza. Questo percorso richiede coraggio e non è immune da difficoltà e ostacoli, perché è qui che si dovrebbe utilizzare l’intelligenza del cuore, di cui inizialmente ho accennato, che permette con la sua energia di mantenere l’attenzione non sugli elementi esterni, facilmente manipolati e alterati, bensì sulla consapevolezza di trovare quel luogo dentro se stessi che apra alla possibilità di associare un’intenzione chiara a un’emozione elevata e che ci conduca a fare delle scelte che ci consentano di lasciare la nostra impronta in questo mondo per renderlo non peggiore di come lo abbiamo trovato bensì migliore.
Ora se comprendiamo che l’onnipresente fragola è la perfetta rappresentazione della grande confusione su ciò che è realmente naturale oggi, sia nell’alimentazione, sia nella moda che nello stile di vita, e che l’intelligenza del cuore apre alla conoscenza, non scontata, ma approfondita di chi siamo, di che cosa ci nutriamo, e non solo materialmente, e di cosa vogliamo offrire noi al mondo, è evidente che proprio il valore di ritornare all’equilibrio e al rispetto di ciò che la natura ci regala e di ciò che la terra ci dona, sia la via per l’umanità per proteggere il nostro pianeta.
Ed è in questa visione che la pelle conciata al vegetale si inserisce perfettamente in questo percorso di protezione. Scegliere un prodotto realizzato con questo pellame implica infatti molteplici fattori che lo rendono un acquisto che definisco scelta eco-responsabile e di “umanità – sostenibile”, proprio per il valore di antica tradizione che rappresenta nella simbiosi con la natura e con l’uomo. Si potrebbe fare un lungo elenco, ma non è la mia intenzione, in quanto sono stati scritti articoli ben specifici sull’argomento e in modo esaustivo e completo. Ma tengo a mettere in evidenza alcuni di questi elementi. Il primo fondamentale, che pochi conoscono, è che per la concia al vegetale gli animali non vengono uccisi per utilizzare a tal fine le loro pelli, anzi sono scelte solo ed esclusivamente quelle di animali già passati dalla filiera alimentare, che in caso non venissero conciate produrrebbero materiale inquinante per l’ambiente. Abbiamo dimenticato nei secoli che l’uomo ha una relazione simbiotica con la natura. I nostri antenati cacciavano, pescavano e coltivavano, traendo sostentamento dalla natura stessa, considerandola parte di sé e del tutto. L’animale anticamente era sacro e ogni sua parte dopo la caccia veniva utilizzata per il perpetuarsi della vita umana ed è in questa prospettiva che la pelle conciata al vegetale riprende il concetto di caccia, non quale hobby, bensì quale fonte di vita nel rispetto dell’animale. Altro discorso invece sarebbe capire quanti animali è necessario oggi uccidere per mangiare nella nostra società occidentale. Un detto delle mie parti afferma “Hai gli occhi più grandi della pancia“ e invito ognuno alla propria riflessione.
Tornando alla pelle, un altro elemento sostanziale, tra l’altro poco conosciuto, è l’utilizzo del tannino, la polvere della corteccia degli alberi, sostanza naturale che viene utilizzata nel processo della concia. Certo qualcuno potrebbe sottolineare che per ricavare i tannini vengono abbattuti gli alberi, ma è indispensabile sapere che tutte le aziende produttrici di tale sostanza naturale sono impegnate nella tutela costante del patrimonio dei boschi con continua e attenta politica di riforestazione.
A questo proposito desidero citare un esempio prendendo spunto da articoli di reportage della rivista The Vision, per far meglio comprendere come a volte, ciò che si crede naturale e oggi definito anche etico, sia ingannevole. Scegliendo in libertà di acquistare un burger di quinoa molto probabilmente siamo sicuri di non danneggiare l’ambiente. Se invece andiamo oltre l’illusione della fragola, ossia che non tutto è così come sembra e ascoltiamo l’intelligenza del cuore, ossia dissipiamo la nebbia delle convinzioni, ci meraviglierebbe sapere ad esempio che in Perù e Bolivia, dove viene prevalentemente coltivata la quinoa “dopo 5 mila anni di abitudini invariate, i contadini poveri di questi luoghi sono stati costretti a modificare la loro dieta in modo tale da poter vendere tutta la “preziosa” quinoa prodotta. E che in pochi anni, è stata compromessa la diversità biologica di quei territori,destinati ora alla monocoltura.”
E sapremmo anche che le coltivazioni di avocado in California e Messico stanno provocando in entrambi i paesi il prosciugamento delle riserve idriche con conseguente siccità e devastanti incendi e che soprattutto in Messico “l’avocado ha provocato danni immensi: quali 700 ettari di foreste distrutte ogni anno e sostituite da frutteti, riserve d’acqua inquinate da pesticidi e fertilizzanti e rischio estinzione per molte specie animali”. Possiamo scegliere sempre cosa fare, ma come disse il filosofo Bacone “sapere è potere”. Mi sono posta una domanda che rivolgo anche a voi lettori: quanti prodotti ora vengono reclamizzati come amici della terra, della natura e degli animali, e amici dell’umanità quanti lo sono? Come si può essere amici della Terra se in primis non si ama e non si è amici dell’umanità? Un prodotto non dovrebbe essere prima di tutto amico dell’umanità?
Non si salva il mondo non mangiando carne e non comprando prodotti che utilizzano pelle animale, il futuro dell’uomo e della terra non dipende da questo, bensì dalla domanda che ognuno dovrebbe farsi. Che cosa posso fare io affinché si passi da uno stato di inconsapevolezza collettiva di sopravvivenza a uno stato di prosperità degli esseri umani che porterebbe a prenderci cura gli uni degli altri e di conseguenza della Terra in cui abbiamo il privilegio di vivere? Solo partendo dalla frase dell’oracolo di Delphi, che da secoli ci invita a capire chi siamo veramente e ad assumerci la responsabilità dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e delle nostre scelte che possiamo comprendere di essere co-creatori del tutto e dunque del mondo in cui viviamo.
Riportando questa riflessione alla vita di ogni giorno nella scelta dei nostri acquisti desidero ricordare una frase “acquista meno, scegli bene e fallo durare “, che riassume l’importanza di ognuno di noi come consumatore. Ritengo che una delle possibili vie per migliorare il pianeta sia quella di evitare di aprire il portafoglio, che possibilmente dovrebbe essere in pelle conciata al vegetale, per acquisti inutili e non di qualità, fatti di prodotti che oggi con la dilagante fast fashion, causa di inquinamento ambientale e di sfruttamento delle persone, hanno invaso come orde barbariche il mondo. Quanti oggetti bisogna possedere per essere felici? Una frase di Edward Norton nel film Fight club “Compriamo cose che non ci servono, con soldi che non abbiamo per fare impressione su persone che non ci piacciono” fa comprendere che se le persone fossero davvero felici, intendo una felicità interiore, che non è la proiezione di quanto si possiede, consumerebbero meno, sarebbero più consapevoli di essere e non di avere e sceglierebbero prodotti di qualità con facilità, senza perdersi in spese che danneggiano l’umanità e di conseguenza il pianeta. L’economia basata su questo genere di consumi “fast” è solo apparentemente sinonimo di sviluppo economico, mentre invece porta con sé un costo umano, sociale e ambientale enorme.
Questo però ci insegna, se riusciamo a uscire dai milioni di bit di informazioni al secondo che arrivano al nostro cervello da ogni dove, a riscoprire il valore di oggetti durevoli nel tempo e con una storia da raccontare, proprio come quelli realizzati con la pelle conciata al vegetale che vive e si trasforma e che con il suo profumo unico ci ricorderà, come i dolcetti le Madeleines della “Recherche du temps perdu” di Proust, alcuni momenti della nostra vita.
Termino queste mie riflessioni, rammentando che dipendiamo dalla natura, che ci parla con i suoi suoni sottili come le gocce di pioggia, il fruscio del vento tra le foglie o il ronzio di un’ape. Natura che ci sussurra nel silenzio e che ci ricorda, anche attraverso il tocco della nostra mano su un oggetto di pelle conciata al vegetale, che rispettarla e proteggerla sono azioni conseguenti e proporzionali solo al nostro amore verso l’umanità.