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Treno della Memoria: un viaggio che cambia le persone

Quest’anno al Treno della Memoria abbiamo avuto cinque casi di outing di studenti omosessuali. Me l’hanno riferito gli insegnanti ed erano molto contenti. Durante il viaggio, all’andata e al ritorno, nella carrozza ristorante si tengono dei laboratori con i testimoni e i rappresentanti delle comunità perseguitate nei lager come i Rom e appunto gli omosessuali. È uno dei pochi casi in cui mi capita di assistere dal vivo all’utilità del mestiere che cerco di fare: lo storico.

Il Treno della Memoria: la testimonianza di un insegnante

Molti pensano che la gita ad Auschwitz sia una spesa inutile e un turismo deviato un po’ morboso. Chi ci viene invariabilmente cambia opinione. Ogni tanto mi capita di essere fermato per strada da ragazzi che mi riconoscono e mi dicono: «il viaggio più bello della mia vita». Io rido e gli rispondo «speriamo di no». Ma capisco quello che vogliono dire. Il primo viaggio in cui ci sono stato con la testa e le emozioni mi ha fatto pensare. Ci tengo a spiegare che non montano sul treno e via. I loro insegnanti l’anno prima seguono una summer school con gli studiosi esperti del tema. Poi in classe fanno un programma speciale con i ragazzi interessati e alla fine ne selezionano due per il viaggio. Tutti partono equipaggiati con telefonini che li mettono in grado di fare il loro reportage: intervistano i testimoni, i compagni, riprendono i laboratori e naturalmente tutte le visite guidate.

Poi tornati in classe rielaborano il materiale insieme agli altri che non ci sono stati: lo montano, ci mettono le musiche. Sul sito della Regione si trovano un po’ di questi elaborati e come potrete vedere non sono mica male. Quando facciamo l’incontro con i testimoni – settecento ragazzi stanchi dopo una notte in treno e un giorno al freddo dentro il campo – non vola una mosca. Perché incontrano davvero ciò che la maggior parte di loro (per sua fortuna) non ha mai incontrato: il dolore. E vedono la vita della persona che ci è passato attraverso, ha trovato la forza per sopravvivere anche dopo e adesso riapre quella ferita e piange per loro. Per loro. Per trasmettergli qualcosa che a loro volta dovranno trasmettere. Non gli capita spesso. E non gli capiterà tante altre volte. Per questo dicono «il viaggio più bello della mia vita». Per questo chi ha vissuto fino ad allora in silenzio, vede il coraggio dei testimoni e trova anche il suo, di coraggio, per dire ai compagni una cosa che non gli ha mai detto.

Il viaggio della vita

A noi insegnanti rimane il compito di togliere «più bello» dalla loro frase. Quello che facciamo col Treno della memoria è il «viaggio della vita»: ognuno di noi nel corso della sua vita attraversa momenti grandi e piccoli in cui deve scegliere tra la libertà e qualcos’altro (carriera, soldi, quieto vivere, scegliete voi ce ne sono molti e si presentano sempre). Allora si può ricordare che vuol dire essere davvero senza libertà: i dormitori, i cessi, le camere a gas, i crematori. E scegliere benedicendo il fatto di non essere finito in quell’inferno. E scegliere maledicendo tutti quelli che insegnano ad aver paura di esseri umani diversi da te: di imprenditori politici della paura ce ne sono tanti in ogni tempo, compreso naturalmente il nostro. Sono gli stessi che le camere a gas le costruiscono. Che il mondo è bello perché è vario, non lo impareranno mai. E siccome vivere non è mai facile, qualcuno che gli dà retta lo trovano sempre. È sempre tanto più facile dare la colpa a qualcun’altro.

Giovanni Gozzini, storico e professore di Storia contemporanea all’Università di Siena.

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