Una meraviglia incastonata nel verde delle colline toscane. A Leccio, precisamente. Nel fiorentino. Così potremmo definire il Castello di Sammezzano, dimora nei secoli di alcune delle più importanti e nobili famiglie fiorentini: Gualtierotti, Altoviti e anche Medici. Costruito nel XVI secolo ma riedificato nell’800 secondo lo stile moresco, ne riprende le influenze artistiche siriaco-musulmane. Gli archi intrecciate e le cupole, le ceramiche a lustro e i raffinati disegni: all’interno del Castello sarebbe possibile ammirare tutto questo. “Sarebbe“, però. Infatti al momento la struttura è chiusa al pubblico, se non in rare giornate organizzate dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) in collaborazione Movimento SaveSammezzano.
Il Castello, la sua trasformazione ed il declino
Ne ha viste e vissute tante questo Castello fiorentino. Nato come porzione di una tenuta agricola, negli anni della Seconda Guerra Mondiale è stato utilizzato come ospedale di fortuna da parte degli alleati. Una volta terminato il conflitto una nuova proprietà lo acquistò all’asta e lo trasformò in un hotel-ristorante di lusso, composto da 365 stanze decorate ognuna in un modo diverso: questa nuova “sistemazione” durò soltanto fino al 1990. Nel 1999 fu messo nuovamente all’asta e passò di mano ad una società italo-inglese che lo gestì, con evidenti carenze, fino al settembre del 2015. Da quel momento l’opera di recupero è stata affidata al Movimento SaveSammezzano ma per l’obiettivo servirebbero notevoli investimenti. Ma più che altro sarebbe necessaria una proprietà con un progetto chiaro e definito di riqualificazione ad ampio raggio ma soprattutto realizzabile sul medio-lungo termine.
Il Castello di Sammezzano: emblema di un’Italia fatiscente
Un castello che testimonia il passato del nostro territorio, una rappresentazione architettonica lasciata in eredità per raccontarci la nostra storia. Tutto questo, almeno fino ad ora, non è stato sufficiente a far tornare il Castello di Sammezzano al suo antico splendore. Perché vedere un pezzo di storia abbandonato a se stesso è estremamente triste, è un vero e proprio spreco. È il simbolo di un’Italia che non crede nelle potenzialità dell’arte, che non riesce a vedere quanto questa invece possa diventare un volano importante per un territorio ma soprattutto per il turismo, il motore dell’economia italiana.